Melbourne

Quando arrivo a Melbourne, non posso dimenticare che qui hanno un passato da galeotti: i passeggeri che scendono dall’aereo vengono incanalati in un lungo corridoio, in fila indiana rasente il muro. Accanto, una ventina di poliziotti ed un cane antidroga che ci annusa ad uno ad uno. Vi assicuro che, anche se non ho proprio nulla da temere, la situazione non é piacevole! In compenso poi tutto fila ancor piú liscio del previsto: al controllo passaporti non mi chiedono neppure il visto (quello che avevo dimenticato di prendere da Roberto ed ero dovuta tornare indietro, uffa!), al controllo elettronico dei bagagli un funzionario mi fa alcune domande, credo di capire che mi chiede se ho qualcosa da dichiarare, io continuo a dire di no, sperando che sia la risposta giusta. Lo é, infatti poi mi fa passare di fianco ai macchinari, senza dover fare la coda. Skybus per la cittá, ed ecco la prima sorpresa: per la prima volta in sei mesi di viaggio arrivo in una cittá che non ha una periferia modello baraccopoli! Industrie, casette con o senza giardino, con o senza garage attaccato, molte con questi dannati tetti di lamiera ondulata, ma tutte proprio dignitose, Neanche un sacchetto di plastica buttato per strada, anche questa una novitá. Quello che comincio a vedere della cittá mi piace proprio, un miscuglio di costruzioni ottocentesche (piú indietro non si va, é stata fondata nel 1845, ma vi rendete conto, prima proprio non c’era, neppure un villaggio di aborigeni!).  chiese e palazzi, condomini, grattacieli,  shopping center.  Il tutto attraversato da viali alberati, punteggiato da un’infinitá di parchi. Poco da dire: io ho un animo cittadino, il mio habitat sono i grandi conglomerati di costruzioni e di gente.  Apprezzo e mi godo gli spazi aperti, la cultura delle capanne, mi piace meno la sporcizia che ci trovo, ammiro la gente che vive semplicemente con pochissime necessitá, peró quando mi ritrovo in una cittá mi sembra di indossare un abito fatto su misura, invece che un pret-a-porter. (sa il cielo dov’é l’accento circonflesso sulla tastiera). Senza averlo programmato, arrivo proprio nei due giorni delle finali degli Australian Open, cosí me ne vado in Federation Square, davanti ad un maxi schermo, assieme ad un sacco di gente. In piazza ci sono venuta anche la mattina, ed ho passato un paio d’ore su una sedia a sdraio, sotto un ombrellone, a guardare la gente che passava. Ci sono una decina di ombrelloni, sparsi qua e lá, con le loro brave sedie a sdraio sotto: chi vuole ci si siede e ci sta quanto gli pare. Ridete pure, ma questa spiaggia senza la sabbia che mi si infila dappertutto, senza i bambini urlanti e le pallonate da schivare, con un bel venticello ed un cielo azzurro azzurro, mi piace proprio! A Melbourne c’é un giardino botanico immenso, in realtá é un grande parco con alberi importanti, che hanno il loro bel cartellino, coltivazioni particolari in alcuni angoletti, due laghi e tanti prati, sui quali ti puoi sdraiare a prendere il fresco all’ombra o ad arrostirti al sole. I prati sono di erba vera, naturalmente, non sintetica. C’é anche un fiume, lo Yarra River, che é la mia maledizione. Cerco di tenerlo come punto di riferimento nelle varie peregrinazioni, ma il dannato ha un percorso cosí pieno di anse che mi perdo regolarmente. Per fortuna ci sono un sacco di tram e tutti prima o poi passano per Fed Square, ed il mio albergo é lí vicino. Ma quando mi intestardisco a tornare a piedi, arrivo proprio stanca. Non facesse cosí caldo, non sarebbe poi tanto male. Naturalmente, questa é l’estate piú calda da un sacco di anni ed io ci sono capitata dentro Me la vivo con piacere, Melbourne, un po’ a passeggio ed un po’ nei suoi ricchi musei, un po’ a fare shopping (solo un paio di sandali) ed un po’ a fare ardue chiacchiere inglesi nei tantissimi bar. Ma quando vedo alla televisione che si prevedono 44 gradi, faccio il biglietto del treno per Sydney, dove ne sono previsti solo 33. Quando é troppo é troppo, anche a Melbourne.

 

                                                Sydney     

Io dico che Sydney é un parco con una cittá sparsa in mezzo. Provate ad immaginare di essere in una cittá da quattro milioni e mezzo di abitanti, in spiaggia a prendere il sole e magari a farvi un puccio, squali permettendo. Poi raccogliete telo e borsa, infilate i sandali e andate a prendere il traghetto. Scendete a Circular Quay, quattro passi e potete andarvi a comprare le cose piú lussuose, nessun problema, vi fanno entrare anche con gli infradito. Attraversate il giardino botanico per andare a fare la spesa in un iper mercato, poi attraverso un altro bosco arrivate fino ad una libreria che vi puó fornire il catalogo di tutte le formiche esistenti al mondo, con illustrazioni dettagliate. Un bel prato vi separa dalla raccolta di arte aborigena. Ma non é finita la giornata: attraverso un domain, cioé l’ennesimo parco, arrivate di nuovo sulle rive della baia, dove uno schermo gigante che esce dall’acqua vi propone il film della serata. Il giorno dopo con il solito traghetto potete andare a Manly, quartiere verso nord, dove vi aspetta una passeggiata di 10 chilometri in mezzo al bush, lungo la baia, sempre all’interno di una cittá di quattro milioni e mezzo di abitanti. Probabilmente state giá immaginando quello che sto per dire: io qui ci verrei subito ad abitare! Ho trovato la mia cittá ideale. E tutto ció comincia nel modo piú scostante.....Sabato mattina arrivo alla stazione di Melbourne, con buon anticipo come da mio difetto congenito, per prendere il treno che in 11 ore mi porterá a Sydney, lontana dai pazzi 44 gradi previsti in cittá. Ma siccome sta bruciando tutto qua attorno, il fuoco ha circondato anche una parte di ferrovia, cosí fino ad Albury ci andremo in bus. Pazienza. Salgo sul bus augurandomi di riuscire comunque a partire. Piú di quattro ore seduta accanto ad una loquace signora, la cui figlia studia italiano all’universitá, e dovrebbe proprio venire in Italia, ma poverina non si é mai allontanata da casa, e allora dove sarebbe meglio che andasse, e come si vive da studenti in Italia, e ....e non ne posso piú, con poca educazione ad un certo punto mi metto gli auricolari dell’Ipod, viva Gianni Morandi!

Comunque la signora stizzita non prosegue oltre Albury. Il treno é bellissimo, poca gente, ho due sedili a disposizione, guardo fuori il panorama, desertico, quasi desertico, un po’ coltivato, stoppie ingiallite, mandrie che chissá cosa mangiano, qualche albero, quasi desertico, un po´coltivato, stoppie ingiallite, ecc. Mi assopisco, il controllore carinamente sfila dal libro il biglietto che usavo come segnalibro e lo controlla senza disturbarmi, peccato che cosí non so piú a che pagina ero. E poi entriamo in un bosco, viaggiamo in montagna, tra pareti di roccia, ogni tanto si vede giú la costa. Sembra di aver cambiato continente. Il treno rallenta, siamo fuori da ogni orario previsto, tutti hanno la precedenza su di noi. Conclusione: arrivo a Sydney alle dieci di sera, dopo tredici ore e mezzo di viaggio. Pazienza. Ora, i miei progetti su Sydney (corso di inglese per due settimane, alloggio in un albergo convenzionato con la scuola) essendo miseramente naufragati a causa di una fregatura presa su internet, ho in tasca la prenotazione per il Mercantile Hotel, trovato all’ultimo momento sulla Lonely Planet. La guida dice che al pian terreno é un pub irlandese e che é meglio evitarlo intorno a San Patrizio, ma la posizione é perfetta ed il costo decente. Prendo un taxi ed arrivo, dopo aver spostato delle transenne che ci avrebbero dovuto fermare, nella bolgia di un girone dantesco. Sgomenta, entro nel pub con la mia valigia, urlo al barista (per farmi sentire al di sopra di musica ed urla da ubriachi a volume spaccatimpani) che ho prenotato una camera. Quello prende un telefono e chiama, sí, chiama al telefono, sa  il cielo come fa a farsi sentire. Poi mi riurla di prendere un corridoio e di salire le scale, mi aspettano di sopra. Salgo. Camera priva di aria condizionata. Solo un ventilatore. Finestre sulla strada e sul marciapiede con i tavolini del pub irlandese. Un solo lampadario al centro. Bollitore per caffé ma non trovo la presa della corrente. Peró c’é il caminetto! Fuori ci saranno almeno 25 gradi, dentro non me lo chiedo. Mi spoglio, mi butto sul letto e mi viene da piangere. Lo posso fare con tranquillitá, fino a dopo la una chiasso continuo, nessuno mi  potrebbe sentire. I tappi nelle orecchie servono a poco (credo di avere delle orecchie un po’ bislacche). Cosí comincia il soggiorno nella cittá di cui in poco tempo mi innamoro! Nonostante tutto, rimango al Mercantile, mi assicurano che le prossime sere si chiude a mezzanotte. E poi sono simpatici, basta stare giú a ciondolare un po’ bevendosi una birra e facendo quattro chiacchiere, poi ora che ci si lava e che si legge e che si ciondola ancora un po’  arriva mezzanotte. Allora in poco tempo la gente se ne torna a casa sua e io posso dormire a casa mia. Faccio in tempo ad andare su e giú per la baia di traghetto in traghetto, ad andare a vedere un film con lo schermo sull’acqua, film di cui peraltro capisco ben poco, ma il contorno é impagabile. Il contorno, oltre allo spettacolo della baia di notte, é anche formato dagli spettatori: dunque, imparo che a Sydney, al cinema all’aperto almeno, ci si va con largo anticipo. Si prende un cartellino autoadesivo che ti danno con il biglietto, assieme a una penna biro, se non ce l´hai, e si attacca il cartellino con su il tuo nome alla spalliera della sedia scelta. Poi si puó andarsene al ristorante, o al bar, o sedersi sull’erba a picniccare con quello che ci si é portati da casa. Oppure portarsi lo scatolino con cibo e bevande e sedersi giá al proprio posto. Intanto lo spettacolo inizia con uno splendido tramonto sulla baia. Poi continua con un paio d’ore di Flash of Genius, che forse se vedró in italiano mi si chiariranno alcune cose, peró ho capito che si parla un’ invenzione legata ai tergicristalli  che non viene riconosciuta e di una causa intentata alla Ford. Giá un successo, visto che neppure la coppia di francesi con cui condivido il tentativo di sbrogliare la matassa ne viene a capo molto meglio. Come dicevo prima, faccio in tempo a fare un po’ di cose all’aperto, prima che qualcuno dall’Italia mi mandi direttamente il cattivo tempo. Ora pioviggina, con il gran vantaggio che la  temperatura é scesa. Magari stasera accendo il caminetto.....

 

LADY  ELLIOT  ISLAND

 

A Lady Elliot Island ci si puó arrivare da un sacco di posti, ci si va con un piccolo aereo. Io parto da Hervey Bay, dove arrivo da Byron Bay, dopo le mie abituali tot ore di pullman (questa volta tot=9). A Hervey Bay sto in un bed & breakfast gestito da una coppia, lei australiana e lui francese, Michel si chiama, pensa un po’! Lui é molto gentile e si offre di prenotarmi le escursioni che ho intenzione di fare da qui, vale a dire Fraser Island e Lady Elliot Island. Compreso l’accompagnamento all’aeroporto ( a pagamento, ovvio: i servizi si pagano!). Un trattamento di prima classe: io esco per farmi una bella passeggiata di tre chilometri tra andata e ritorno per andare a fare la spesa e, al rientro, trovo sul tavolo della cucina biglietti e prenotazioni. Questa la premessa: tutto promette per il meglio. Ora passiamo al giorno dopo... Breakfast previsto per le 6.45, io ho cambiato l’ora sull’orologio da polso ma non sul telefonino, che funge da sveglia. Cosí sono pronta con il cucchiaio in mano e mi chiedo dove diavolo venga servito il breakfast, alle 5.45. Mi accorgo dello sbaglio, lascio a metá la tazza di caffé solubile che mi sono preparata, torno a letto: occhio bello vispo per un’oretta, poi scendo e trovo la coppietta che si mette a ridere per il mio errore sull’ora, mi consola dicendomi che non sono la prima in arrivo dallo stato del Victoria che sbaglia, e mi mette davanti un’ottima croque madame. Partiamo poi per l’aeroporto. Tutto nuvolo. Mezz’ora di volo in un aeroplanino da 10 posti che....vabbé,sorvoliamo. Si mette anche a piovere. Arriviamo a questo isolotto della barriera corallina, lungo quanto una piccola pista di atterraggio, ed atterriamo sul prato. Piove. Tira vento. Entriamo nel centro informazioni del resort, ci consegnano un foglio con il programma della giornata. Decido che faró tutto, al diavolo la depressione che mi sta arrivando. Vado a farmi dare pinne, maschere, telo di spugna, ficco  la mia roba in un armadietto e mi piazzo in prima fila a vedere un documentario sulla barriera corallina, in attesa delle 10.30: lezione di snorkelling in piscina, cui seguirá alle 10.45 partenza per la barca col fondo di vetro, che raggiungeremo in 20 minuti. Da lí poi faremo snorkelling fino alle 12.00, ora in cui mangeremo. Alle 14.30 visita guidata dell’isola (durata: 45 minuti, forse la gireremo quattro o cinque volte...) . Alle 15.45 check-in per la partenza, che sará alle 16.00. Nel tempo libero, quel che si vuole: snorkelling individuale, film, giochi di carte ecc. Piove sempre di piú, hanno perfino coperto con un tendone una parte della piscina. Vado alla lezione di snorkelling: non mi é mai piaciuto cacciare la testa sott’acqua, magari mi dicono qualcosa che mi puó servire. Magari me lo dicono anche, ma io non capisco niente. E ormai diluvia, fa anche freddo. E quando il giovane Nick, tutto allegria nella sua cerata gialla (lui sí che ha la cerata!), mi chiede se va tutto bene, gli rispondo che io non mi sto divertendo affatto, che ho freddo e che me ne ritorno nella sala video, che ci vadano loro a snorkellare. Quando é troppo é troppo. Ormai siamo in piena tempesta: non si vede neppure da qua a lá. Dicono che in acqua sia perfetto. Sará. Peró, guarda caso, in sala video compaiono anche altri quattro dei sette che erano in piscina. Poi ci dicono che potremo andare a fare snorkelling dopo il lunch, il meteo assicura che la tempesta durerá poco. Intanto arrivano anche gli ospiti del resort: bambini compresi, ergo ci tocca vedere Harry Potter. Ma almeno qui dentro non piove. Dopo mangiato, giusto per metterci la firma, mi immergo. La barriera corallina é proprio bella, i pesci sono colorati, i coralli un po’ meno perché la luce é proprio pochina pochina, in compenso il diluvio che mi batte sulla schiena é proprio fastidioso. Pazienza, ho snorkellato senza bere acqua salata, é giá un successo. La tempesta si calma un poco, cosí mi faccio dare un ombrello giallo e parto alle 14.30 per la visita guidata, 45 minuti. Siamo solo io e Nick. Credo che mi stia odiando, comunque fa il suo dovere sorridendo e , secondo me, mangiandosi ancora di piú le parole, rispetto all’inglese australiano. Sono sicura che lo fa apposta. Capisco quasi nulla ma stoicamente faccio un sacco di oh! Ah! E sorrido. Piove, arriva l’altra assistente, Jesse, molto piú carina, per dirmi di seguirla, ci sono delle informazioni. Io capisco che la storia dell’isola hanno deciso di farcela al coperto e la seguo verso la sala video, invece mi porta alla reception dove il responsabile dell’isola mi comunica tranquillamente che, date le condizioni del tempo, nessun aereo arriverá a prendermi. Confinata a Lady Elliot Island fino a domattina. Naturalmente a spese del resort, cena, camera, breakfast e tutto ció di cui posso aver bisogno da prendere allo shop. Io ed altri due che avrebbero dovuto ripartire stasera, in compenso i 14 che dovevano arrivare se ne staranno a Hervey Bay.  Se il tempo non fosse un tale schifo, sarebbe una goduria. Giá, ma con un tempo migliore gli aerei avrebbero volato....Chiedo che telefonino a Michel, per avvertirlo che non torneró e che sposti l’ora di partenza per Fraser Island: mai piú potrei arrivare per ripartire alle otto del mattino, come previsto. Michel risponde che non si puó spostare la partenza a piú tardi, bisogna trovare un’altra soluzione. Ci penseremo domani, ma lo faccio pesare alla povera Jesse, che cosí non fiata quando allo shop io comincio a dire che ho bisogno di spazzolino da denti, dentifricio, pettine, spazzola, shampoo, balsamo, crema per la pelle, cerotto per il piede con la fiacca da sandalo, tappi per le orecchie (per fortuna li ho presi, non vi immaginate neppure il casino che fanno gli animali di notte!), latte detergente e batuffoli di cotone. E credo anche di essere stata parca. Passo la serata con una coppia molto carina, appena sposati, vivono a Budapest ma lui é di Salerno, lei ungherese. La mattina dopo mi alzo presto, ancora nuvole ma almeno non piove. Faccio il periplo dell’isola (meno di un’ora, tempo per scattare foto compreso). Sono impressionata dalla quantitá di uccelli, a tratti sembra di essere nel film di Hitchkok, non dico di averne paura, ma insomma, non sono simpatici quando sono tanti, neri con una macchia bianca sulla testa e ti volano a pochi centimetri dalla tua di testa. Alle nove e mezzo riprendo il volo, alla fine del prato e poco prima di finire in mare decolliamo. All’aeroporto di Hervey Bay c’é Michel che mi aspetta, bentornata a casa, mi dice! Adorabile.

 

CENTOSESSANTA   CHILOMETRI

 

Centosessanta chilometri ininterrotti di spiaggia, carrozzabile, atterrabile e decollabile, ma vi rendete conto? Fraser Island é l’isola di sabbia piú grande al mondo, ben 120 chilometri di lunghezza, la larghezza varia da cinque a quindici, mi pare. Ci sono solo tre blocchi di roccia, tutto il resto é sabbia. E siccome qui piove per bene, si sono formati dei laghi di acqua piovana depositata e non tutta assorbita e sulle dune é cresciuta una vegetazione tropicale lussureggiante, dalla foresta pluviale alle mangrovie. Quando mi dicono che il terreno é solo sabbia, non ci credo, eppure é vero: dovunque mi chini a raccogliere una manciata di quella che sembra terra, rimango con in mano un pugno di sabbia. Incredibile quello che puó crescerci sopra! La costa ovest ha la vegetazione che arriva fino al mare, mentre quella est finisce con una larga spiaggia. E siccome ci sono golfi e promontori, questa spiaggiona é lunga circa 160 chilometri, ben piú della lunghezza dell’isola in linea d’aria. Noi ne percorriamo un’ottantina, su un pullman da 44 passeggeri, a velocitá da chilometro lanciato. A volte abbiamo le ruote nelle onde! E poi, un cartello che avverte di stare attenti perché potrebbero atterrare degli aerei. Giá, la sabbia é cosí compatta che dei piccoli aerei da turismo ci decollano ed atterrano sopra, per andare a fare un giro panoramico. Potevo mancare? Non sia mai detto! Dei 34 passeggeri ci facciamo avanti in cinque e decolliamo, passando accanto ad un paio di fuoristrada che vengono nell’altro senso. Lo spettacolo dal cielo é veramente inaspettato: a parte qualche piccola zona rimasta pelata, con la sabbia che sembra messa lí come nei giochi per i bambini, per il resto un fitto ammasso di piante, verdissime, e qualche lago. E poi questa striscia assurda, inimmaginabile, di spiaggia. Dimenticavo, ci sono anche fiumiciattoli (creek) che si gettano in mare, con un’acqua trasparentissima, ci si puó sguazzare dentro. Non manca neppure il relitto di una nave naufragata. Vediamo tutto ció, compresa la costa del continente e  poi giú, atterriamo sulla spiaggia, accanto al pullman che nel frattempo ha scaricato gli altri passeggeri alla foce di un creek.  Subito in costume e in acqua, fa un gran caldo. Nel pomeriggio, facciamo un altro bagno, questa volta in un lago, l’acqua é oscenamente trasparente. Rientriamo a casa alle quattro e mezzo, con l’ultimo traghetto. Io continuo a pensare a quei 160 chilometri di spiaggia, se me lo avessero raccontato avrei avuto delle difficoltá a crederci. Ma voi credetemi, l’ho proprio vista, anche se, come nelle barzellette, ho involontariamente interrotto il passaggio delle foto dalla macchina al pc, cosí nella macchina le ho cancellate e sul pc sono passate solo le prime. Perció non posso fornire prove . Mi mangerei le dita!  D’altra parte, non dimenticate che sto in Australia, qui possono benissimo esserci cose di questo tipo (spiagge lunghissime e donne sbadatissime)