Kings Canyon

Good morning, good morning! Glenn passa di tenda in tenda per svegliarci, tutto allegro ed affascinante, ma come fa alle quattro e mezzo del mattino? Per quanto mi riguarda, potevo anche alzarmi ben prima: una notte orrenda, almeno 30 gradi fuori, vento caldo, in tenda non parliamone, ad un certo punto mi sono rovesciata addosso una bottiglia d’acqua, ma non é servito a molto. Quindi non sono allegra e tanto meno affascinante. Ma tant’é. Iperdose di caffeina, doccia aprendo al massimo il rubinetto dell’acqua fredda ed ottenendo acqua calda-tiepida, abbigliamento adeguato ( lo spero), colazione con successivo lavaggio di piatto, tazza, ciotola, bicchiere, coltello, cucchiaino (piú la roba da lavare che quella da mangiare) e alle cinque e mezzo siamo tutti pronti per partrire alla volta dell’alba sul Kings Canyon. Il pullman con l’aria condizionata é un vero good morning, Glenn ha il buon gusto di starsene zitto e limitarsi a guidare. Arriviamo ai piedi del canyon, che come tutti sanno é qualcosa dotato di pareti scoscese. Infatti eccola lí, bella pronta per essere risalita, la parete, con degli pseudo-gradini rocciosi. Per fortuna, solo 100 metri. Tanto per rincuorarci, un bel cartello ci informa che il giro che ci apprestiamo a fare durerá circa 3 ore e mezzo, che non troveremo acqua lungo il cammino e che sará bene restare sul sentiero: rischio di precipitare giú. Partiamo intruppati ed arriviamo sparpagliati in cima alla prima salita. I primi aspettano gli ultimi, i quali arrivano esattamente con il sole nascente: trucco trucchetto, infatti l’alba c’é giá stata, ma dietro la parete e quindi non ancora per noi! Ed ora comincia lo spettacolare cammino, davvero unico. Verde degli alberi che comunque non si arrendono al terreno arido, ocra della roccia, azzurro del cielo, una tavolozza di colori contrastanti, netti, che si impongono. Strane formazioni rocciose, un po’ dovute al preesistente oceano (come dappertutto) ed un po’ al vento (come dappertutto), rotonde sul tipo di torte a molti strati (e questo non come dappertutto). Dopo un paio d’ore scendiamo in una parte di canyon dove c’é un laghetto in cui si puó fare il bagno. Sollevamento popolare perché non ci hanno detto di portare il costume, e adesso siamo accaldati, e l’acqua é frescolina, e la decenza ci vieta di entrarci nudi o vestiti, insomma! Poi capiamo che l’acqua non é poi cosí invitante: é acqua piovana, e non piove da un paio di mesi. Sulla pelle di quelli che stanno nuotando in effetti la si vede con un colore giallognolo ...Loro nuotano e noi ci mangiamo una fetta di plum cake, non proprio la stessa cosa, ma insomma un contentino. Che ti fa venire ancora piú sete. Ma era piú leggero da trasportare piuttosto che frutta per diciannove persone, immagino.  Riprendiamo il cammino in questo luogo che non so piú se definire paradiso o inferno: il panorama é spettacolare, ma ormai abbiamo passato i trenta gradi e all’arrivo, alle dieci del mattino, ne troviamo quaranta. Glenn ci carica sul pullman e ci scodella direttamente in una piscina, appena recuperati i costumi dal bagaliaio. Torniamo ad essere in paradiso.

 

NELL’ OUTBACK

Nell’outback ci sono le MOSCHE, Tantissime. Ci si difende con le flies-net, che poi sono delle velette. Ce ne sono di due tipi: la semplice veletta, con una capocchia di tessuto (su cui incredibilmente hanno stampato ....delle mosche!) che si mette sopra il cappello ed ha un elastico che va a finire intorno al collo, oppure il cappello a tesa larga con la veletta tutt’attorno. Ho optato per il cappello, Non me lo tolgo praticamente mai, ho anche imparato a bere attraverso la veletta. Continuamente cerco anche di mangiarci attraverso, ma non si puó.

Nell’outback alcune montagnozze hanno la gonna: in cima una roccia lunga e dritta, come fosse un corpetto, poi comincia la terra/sabbia che scende obliquamente, come una gonna svasata, Con tanti volants, i cespugli.

Nell’outback ci sono gli aborigeni. Loro preferiscono essere chiamati indigeni, pare che il termine “aborigeno” suoni dispregiativo, una questione tipo negro e nero. Ma se ci mettiamo d’accordo che aborigeno non é detto in senso dispregiativo, va tutto bene. Una cosa che non mi spiego é come mai i bambini  aborigeni siano piú o meno carini come tutti i bambini, mentre gli adulti aborigeni siano cosí  brutti, ma cosí brutti che fa impressione. In ogni pubblicazione ho trovato scritto che non amano essere fotografati. Mi chiedo chi li puó voler fotografare. In compenso fanno dei quadri che non sono belli, sono splendidi, magici come i loro racconti. Hanno i colori e la sacralitá del mondo in cui vivono, qualcosa che si sente nella pelle, non ha nessuna importanza conoscerne la simbologia. Che comunque nascondono gelosamente, quindi le interpretazioni sono del tutto accademiche.

Nell’outback ci sono tantisimi fiumi senza acqua, nel letto dei quali si viaggia in macchina, ma che sono anche attraversati da ponti. Perché ogni tanto si riempiono d’acqua. Ad Alice Springs ricordano benissimo quella Pasqua del 1980...

Nell’outback i medici volano,  sono i Royal Flyng Doctors  e  la postazione di Alice Springs copre un territorio di 300 chilometri di raggio con 4 aerei ed un pugno di medici e paramedici. Bravissimi, soprattutto i piloti: atterrano dovunque.

Nell’outback gli insegnanti fanno lezione a distanza, ora tramite internet, quando hanno cominciato nel 1951 con una radio a pedali. La school on air ha 137 allievi, dai quattro anni e mezzo ai tredici, Poi vanno al liceo, in collegio. E sono fra i piú bravi, ci dicono.

Nell’outback le strade sono molto ma molto dritte, per fortuna ogni tanto hanno messo lí una curva, altrimenti ci si addormenta nonostante l’aria condizionata ti aiuti a tenere gli occhi aperti.

Nell’outback non si incontra molta gente, neppure molti animali, Invece si incontrano molti alberi, alla faccia del terreno arido e desertico, Grandiosa la potenza della natura.

Nell’outback, in estate, fa molto caldo. E il primo che mi viene a dire che il caldo secco si sopporta bene lo strozzo. Quaranta gradi non si sopportano bene. E quando ti dicono che per fare una passeggiata devi bere almeno un litro di acqua all’ora e non devi camminare tra le dieci di mattina e le quattro del pomeriggio, non ditemi che va tutto bene perché é un caldo secco.

Nell’outback ci si puó muovere in molti modi: a piedi, in bicicletta, in dromedario, in veicoli vari a trazione integrale, in elicottero, in treno, in aereo. A me mancano solo la bicicletta e il dromedario.

Nell’outback passa un treno mitico, The Ghan. Da Darwin ad Adelaide ci mette circa due giorni, questa é l’Australia! Io lo prendo ad Alice Springs, piú o meno a metá strada, verso Adelaide. Partenza: ore 15.15 di domenica, arrivo:ore 13.10 di lunedí. 22 ore, mi dico, e invece no, una bella notizia: sono da poco salita quando l’altoparlante annuncia che, poiché passiamo dai Northern Territory al South Australia, da quel momento l’ora ufficiale a bordo di The Ghan é 16.20. Un’ora in meno! Poco da ridere, provate a fare qualche viaggio del tipo Australia via terra e capirete cosa puó voler dire un’ora di meno. Il treno ha due classi: Gold e Red. La Gold costa un patrimonio, credo abbia cuccette con coltri damascate e camerieri in livrea. La Red costa un po’ meno, ovviamente la scelgo, mica si puó fare il giro del mondo permettendosi troppi lussi. Comunque anche la Red é mica male: sono tre carrozze, ognuna dotata di toilette e docce, asciugamani a disposizione, aria condizionata a 22 gradi di giorno e 24 di notte, spazio tra un sedile e quello davanti da far star comodi anche i coscialunga come me, naturalmente libero accesso alle carrozze bar e ristorante. Il bagaglio ingombrante (ti puoi portare fino a 40 chili) va consegnato in stazione mezz’ora prima, perché viaggia su una carrozza a parte. Tu ti tieni solo quello che ti puó servire in viaggio. Avete presente gli assalti ai treni con i valigioni da sistemare? Ecco, tutto il contrario. Partenza in perfetto orario, peccato che le rotaie siano mitiche ( nel senso di leggendarie) anche loro, gli scossoni non mancano. Pazienza, tanto si va abbastanza adagio. Il panorama scorre fuori dal finestrino, scorre, scorre, scorre il VUOTO : finché c’é luce lo si vede, poi al buio lo si intuisce, il vuoto. Impressionante, spazio immensamente vuoto. Il treno fischia un paio di volte e vediamo che la ferrovia incrocia una pista di terra rossa. Ad un certo punto l’altoparlante ci dice di tenere pronte le macchine fotografiche: stiamo per passare sul ponte sul fiume Fink. A destra si puó vedere un po’ di acqua, a sinistra del tutto asciutto. E poi continua il vuoto. Io sono affascinata, mi rendo conto che quando l’occhio non ha davanti confini anche il pensiero sguazza: da qui a lá c’é tutta una storia da immaginare e da raccontare.

 

Tasmania

Hobart é una simpatica cittadina inglese, alla foce di un fiume che é cosí profondo da essere il secondo piú profondo al mondo, quindi anche i transatlantici che amo tanto possono arrivarci (ed ho visto entrarci il Millennium!). Ad Hobart atterro in un pomeriggio che non sa se essere piovoso o soleggiato. La signora taxista, bionda e grassa, che mi porta dall’aeroporto in cittá mi dice che questo é il tipico clima tasmaniano. Sará. Il mio bed & breakfast si chiama Edinburgh Gallery, un vero castelletto, sulla collina. Si entra al primo piano, poi si scende per arrivare al pianterreno dove sta la mia camera, o meglio la mia segreta: muri di pietra, come il pavimento, un armadio incassato in una rientranza, un letto, un tavolino ed una sedia, non c’é il bagno. Quello sta al secondo piano. Scala di legno scricchiolante, soprattutto di notte. Insomma, meglio ricordarsi di andare a fare pipí quando si rientra, cosí c’é da salire un solo piano. Vi pare poco inglese tutto ció? Resto ad Hobart tre giorni, ad abbuffarmi di pesce che é buonissimo. Il mio rimpianto é che non riesco a fare piú di tre pasti al giorno. Poi parto alla scoperta del resto della Tasmania, e scopro che in Tasmania c’é la tigre della Tasmania (forse, perché invece qualcuno dice che é estinta), c’é il diavolo della Tasmania (l’ho visto, garantisco) e c’é Under Down Under (giá...). Quest’ultima cosa é una compagnia turistica che organizza viaggi nell’isola, li propaganda un po’ dappertutto, io avevo preso un loro depliant a Sidney e mi era piaciuto il Tasmania Highlights. Cosí, dopo aver prenotato e pagato i miei 5 giorni 4 notti, mi ritrovo in partenza da Hobart per la scoperta del meglio della Tasmania. Prima scoperta: 11 partecipanti, etá media 24 anni a causa mia e dell’autista-accompagnatore, gli unici due con i capelli grigi. Seconda scoperta: si dorme in ostelli nei quali, é vero, mi danno una camera singola come ho chiesto, ma i bagni sono in genere dall’altra parte dell’edificio (mi ricorda qualcosa...) in condivisione con una trentina di altre persone. Terza scoperta: i pasti compresi (breakfast e lunch, per fortuna non dinner!) sono nel migliore dei casi dei picnic, vi risparmio la descrizione dei peggiori. Detto questo, posso assicurarvi che la scoperta della Tasmania ( isola) é veramente entusiasmante. Intanto, ci si trova un po’ di tutto: si fa il bagno sulla costa orientale, si va in montagna nel centro, ci si infradicia pare nella costa occidentale, io mi sono rifiutata di andarci. Anche qui non manca lo spazio, come nel resto dell’Australia, ma le dimensioni sono piú umane. La gente non é che sia cosí amichevole verso lo straniero, in fondo gli inglesi ne hanno massacrati un po´tanti, peró cominciano a capire che il turismo é una buona fonte di guadagno. Alternativa a piante, pecore e pesce. Nei boschi sembra di vagare con Tolkien ed il signore degli anelli, anche se non l’hanno girato qui, si incontrano wallaby , wombats ed echidne (animaletti carini, piú o meno). Purtroppo di animaletti carini piú o meno se ne incontrano anche un sacco spiacciccati sulla strada, visto che molti di loro hanno abitudini notturne e non hanno ancora capito che gli automobilisti sono pericolosi, soprattutto di notte. Arrivo a Lauceston, saluto i compagni di viaggio, passo un paio di giorni a spasso in questa assurda cittadina con casette di marzapane, altre stile impero, alcune tipo torta nuziale, impervie gorge e verdissimi parchi, e dó l’arrivederci all’Australia: sveglia alle 4.15 a.m., pick-up alle 4.45, volo alle 6.15. Arrivo, Nuova Zelanda!