San Pedro de Atacama – Valle della luna

 

Anche a San Pedro, nel deserto di Atacama, c’é una valle della luna. Viene da chiedersi se ne esista una anche sulla luna, per caso...

Comunque si incomincia il tour dalla valle della morte, anche questa mi sembra di averla giá incontrata, in giro per il mondo. Siamo in sei turisti: due portoricani, un sudafricano, uno statunitense, una giapponese, una italiana piú la guida cilena, Tirso, che oltre allo spagnolo parla solo francese. Ci spiega che la valle della morte potrebbe anche essere in realtá la valle di Marte, perché il padre Le Paige a volte non capiva bene lo spagnolo e potrebbe aver frainteso il nome. Marte mi piace giá di piú, mi sembra piú in carattere con il posto. Tirso ci pianta all’imboccatura della valle, si assicura che ognuno sia dotato di acqua e di cappello, e se ne va (lui con la cammionetta!). Dice che ci aspetterá in fondo alla valle. Sará, comunque sono circa tre chilometri, va bene in discesa, ma pur sempre nella sabbia....e Tirso scomparso. Un po’ perplessi, ci incamminiamo sotto il sole in compagnia di un vento non si sa quanto amichevole: rinfresca ma solleva anche la sabbia. Il paesaggio, che lo si chiami della morte o di marte non ha importanza, é veramente spettacolare, pareti scoscese di roccia friabile, attraversate da dune di sabbia che sembrano dei mantelli buttati lí per caso, un attimo, prima di essere indossati di nuovo: ci pensa il vento a spiegazzarli. Su una duna vediamo dei fanatici fare lo sport che va per la maggiore a San Pedro: il sandboard, che poi sarebbe venir giú dalla duna su una tavola, come se si fosse sulla neve. Divertente, penso, tranne il fatto che siccome non esistono impianti di risalita, ti devi caricare la tavola sulle spalle e su per la duna arrancando!

Ecco l’ordine di arrivo al fondo della valle: prima Italia (la classe non é acqua...), secondo Sudafrica, terzo Giappone, quarto USA, quinto e sesto Portorico. Settimo Tirso, il vigliacco chissá dove se ne era andato nel frattempo....

Ripartiamo, questa volta per il cuore della valle della luna. Scopriamo ben presto il motivo del nome, questo non equivocabile: é una distesa di cristalli di sale! Sono disseminati sulle rocce, sparsi sul terreno su cui si cammina, dappertutto. E poi le rocce scricchiolano!!! É davvero impressionante: la differenza di temperatura tra il caldo del sole ed il freddo della sera ( manca poco al tramonto) fa parlare le pareti della valle. Inquietante....

Manca poco al tramonto, bisogna sbrigarsi: infatti uno degli spettacoli imperdibili é il tramonto visto dalla grande duna. Una facile salita, tanta tanta gente. Ma Tirso sí che é furbo: lui conosce un altro posto da cui si vede un bellissimo tramonto, senza gente. Solo, la salita é un poco piú faticosa. Votazione nella camionetta (siamo democratici, noi cosmopoliti), tutti per il posto di Tirso (siamo anche unanimi, perché non sappiamo...). Il posto é veramente ben piazzato, siamo veramente soli, l’unico inconveniente é che arrivarci non é esattamente facile, la foto qui accanto testimonia una parte della salita. Quando poi si é trattato di scendere, a notte fatta, la giapponesina é stata presa da una crisi di panico e Tirso se l’é praticamente dovuta caricare in spalla. Io devo dire che sono stata molto contenta una volta arrivata giú! Ma comunque vorrei risalirci subito, tanto é stato meraviglioso lo spettacolo che abbiamo visto. Prima il tramonto, con le Ande e la Cordigliera de la Sal che cambiavano colore ad ogni istante, poi la luna che é sorta proprio dietro al vulcanno Licancabur. Devo confessare che, appena arrivata a San Pedro, ho avuto un colpo di fulmine: mi sono innamorata del vulcano Licancabur. Provate a pensare ad un vulcano, al piú classico dei vulcani, quello che abbiamo visto nel primo libro di geografia, quello che immaginiamo nei racconti delle favole: ecco, quello é il Licancabur. Da quasi due mesi vivo ai piedi di vulcani, ma uno bello come questo non l’avevo ancora visto. É semplicemente perfetto, e con questo ho detto tutto. Anche la luna ha scelto di comparire proprio dietro di lui, cosa si puó volere di piú?

Lo spettacolo avrebbe potuto durare per tutta la notte, ma ci aspettavano la discesa, le patatine fritte, il pisco sour ed il rientro a San Pedro. Cosí ad un certo momento Tirso ha dato il via e ce ne siamo tornati con i piedi sulla terra, nella valle della luna piena.

 

El Tatio

 

La mia giornata commemorativa dell'invasione spagnola (e del compleanno di mio fratello Andrea) è cominciata alle 3 di mattina. Giá, perché l'escursione a El Tatio era prevista per le 4, ma siccome stanotte in Cile entra in vigore l'ora legale, le 4 diventano le 3. Cosa che ho dovuto spiegare prima al guardiano notturno (che alle 4 meno dieci insisteva a dirmi che era troppo presto, erano solo le 2!) poi allo stralunato accompagnatore, tirato giú dal letto, anche lui aveva messo indietro l'orologio invece che avanti. Non solo, una gomma del furgoncino era a terra ed il cric non funzionava... Ecco, cosí é iniziata la giornata. Finalmente, alle quattro e mezza, noi poveri quattro tapini in partenza dall'hostal Corvatsch (proprio cosí, hostal appartenente ad una societá sviozzero-cilena), veniamo raccattati da un'altro furgoncino, giá bello pieno di turisti mattinieri. Un'ora e mezzo di viaggio, ballonzolante nella notte desertica, la mia povera schiena cominciava a dare segnali di insofferenza, ed eccoci arrivati in un posto incredibile. Provate ad immaginare: 4.423 metri di altitudine, 13 gradi sotto zero, comincia appene appena a fare chiaro e davanti a noi una distesa di geysers-fumarole!!! Ma tanti, ma tanti da perdercisi in mezzo. Qui li chiamano geysers, in realtá quelli che cacciano fuori getti d'acqua sono pochi, piú che altro emettono vapori, ad altezze notevoli. In pratica, si passeggia all'interno di un vulcano in attivitá, che non erutta soltanto perché "respira" attraverso questi getti. Meno appariscenti, presi ad uno ad uno, dei geysers che ho visto in Islanda o a Yellowstone, ma così tanti ed in un paesaggio cosí particolare, sia per l'altitudine che per la temperatura, che é veramente emozionante. Intorno alla spianata, una serie di altri coni vulcanici. Comincia a sorgere il sole, fa un po' meno freddo ed arrivano i colori....ocra, blu, bianco in tutte le sfumature possibili. Ci aggiriamo, ogni tanto perdendoci di vista o apparendo come fantasmi, dietro un muro di vapore, dimentichi ormai del freddo. Poi desayuno (prima colazione) a base di caffé bollente e panini al formaggio. Si riparte, pochi minuti e siamo alla tappa successiva: una piscina di acqua calda, dai 25 ai 35 gradi. Fuori siamo sempre sotto zero, ma come resistere? Ci avevano detto di portare il costume da bagno, cosí dopo uno spogliarello a tempo di record alcuni temerari ( me compresa!) si sono cacciati in acqua. Una goduria, una volta passato il male cane ai piedi, che da surgelati che erano si sono ritrovati lessi...Siamo rimasti a mollo per quasi un'ora, sguazzando alla ricerca dei punti piú caldi e guardandoci intanto intorno, un paesaggio che si illuminava sempre di piú con l'avanzare del sole. Tralascio di raccontarvi il momento tragico dell'uscita dall'acqua. Il viaggio poi è continuato con la visita ad un pueblo abitato da 8 persone, di cui naturalmente 6 occupate a vendere artesania o empanadas o spiedini ai turisti, ed una breve sosta accanto ad uno stagno pieno di fenicotteri. Alle due (del pomeriggio) eravamo di ritorno a San Pedro. Un'ultima nota a proposito dell'abbigliamento: siccome sono venuta a San Pedro con la valigetta piccola, lasciando la grande in deposito a Santiago, non avevo un granché, cosí mi sono messa addosso quasi tutto: sono partita con due paia di calze, due paia di pantaloni uno sopra all'altro, una maglietta, due golf, la solita giacca blu. Al ritorno a San Pedro indossavo la maglietta, in paio di calze, un paio di pantaloni (quelli leggeri). Adoro questo clima che passa da 13 sotto zero a 20 sopra nell'arco di poche ore!
E adesso vado a dormire.

 

 

Isola di Pasqua

 

Arrivo all’Isola di Pasqua dopo un volo di piú di cinque ore, il che rende bene l’idea di dove sia questa strana isola: pensate che tutto il volo é stato sull’oceano, in linea retta! Piú sperduta di cosí.....

Mi accoglie un’incredibile coppia di nonnetti locali. A volte mi dico che farei meglio a non fidarmi ciecamente delle presentazioni su internet, ma ho scelto il loro alloggio perché era il piú economico, nella categoria “habitacion simple con baño”.  Eliana e Juan. Eliana con un grande cartello con su scritto “Laura Galimberti” ed una collana di fiori per darmi il benvenuto, Juan che aspetta accanto ad una Vitara che di vita sembra averne molto poca. Juan fa per prendermi la valigia, ma mi impietosisco e glielo impedisco, ernia mia stattene buona! Facciamo avanzare il sedile, vorrei lasciare davanti la señora, ma no, non sia mai detto che un’ospite si sieda dietro. Peccato che il sedile non arretri piú e che la gradita ospite si ritrovi con le ginocchia in bocca. Ma Eliana mi rassicura: se serve, Juan ha un martello....Partiamo a tre cilindri scarsi e a  20 all’ora, anche se il limite ad Hanga Roa é di ben 30 chilometri all’ora. Ma é tutto cosí vicino che non occorre proprio andare piú veloci, altrimenti che gusto ci sarebbe a spostarsi in macchina? La camera appare dignitosa, il giardino un po’ trascurato ma meravigliosamente fiorito. Il promesso cocktail di benvenuto citato nel sito internet é un bicchierone di succo naturale, ottimo, servito ad un tavolo rotondo tutto coperto di pizzi.

Ma come si fa a resistere? Parto subito alla ricerca del mio primo Moai. Pare ce ne sia uno vicino a casa, lungo il mare, ma io volto a sinistra invece che a destra e cosí trovo tutto tranne che il testone. Al ritorno, un po’ scornata, me lo trovo finalmente davanti! Beh, é proprio emozionante, vederlo dal vivo. Esiste davvero, non é solo una figura vista su un libro o su una cartolina. Li costruivano per commemorare gli antenati e rappresentavano lo spirito della tribú, tanto che la prima cosa che facevano ai nemici vinti era di abbattere i loro Moai. Poi li mangiavano, i nemici. E mangiavano anche le donne, nel periodo in cui c’era troppa sproporzione tra le risorse dell’isola e gli abitanti. In effetti, questa singolare isola é stata una gran prigione per la gente che ci era arrivata, tanto lontana é da qualsiasi altra terra. Pare che Thor Heyerdhal abbia detto che i punti fissi piú vicini che gli isolani possono vedere stanno nel cielo: sono la luna e i pianeti.

Ora le cose sono cambiate, Juan é addirittura venuto in Italia 5 volte ed Eliana una. Peró non parlano italiano per nulla, Eliana se la cava male anche con lo spagnolo (qui si parla rapanui) mentre Juan parla spagnolo ma siccome ha solo tre denti in bocca, é difficilissimo capirlo. Cosa potevo fare quando si é offerto di farmi da guida in giro per l’isola? Un full day e due mezzi day, a buon mercato, dice lui, 120 dollari, carissimo, penso io, ma penso anche che dovrebbe conoscere molto bene la sua isola e che in fondo il turismo é fatto per far guadagnare prima di tutto la gente del posto. Se poi pensate che qui una cena non costa meno di 30 dollari, in fondo é quasi a buon mercato!

Partiamo la mattina dopo, mi porta a vedere un po’ di rovine di abitazioni (lo capisco perché l’ho letto sulla Lonely Planet), fino a che la macchina non riparte piú. Ma il prode si arma di cacciavite, ripristina il contatto, e via a tre cilindri scarsi! Arriviamo al  vulcano Rano Raraku, uno dei tre che hanno generato l’isola. Questo é praticamente la fabbrica dei Moai, ne sono rimasti a tutti gli stadi della lavorazione, uno spettacolo! Sono sparsi sulle pendici del vulcano ed anche all’interno del cratere, attorno ad una laguna, assieme ad una gran quantitá di canne e di cavalli (l’isola é piena di cani e di cavalli, tutti a spasso soli soletti ed indisturbati). Ho tutto il tempo di godermi il posto, perché Juan mi ha piantata lí dicendomi che sarebbe tornato a prendermi dopo due ore: lui andava a pescare! Naturalmente, al suo ritorno avrei potuto chiedergli tutti i chiarimenti che volevo, a proposito di Rano Raraku....Guida efficiente.

Il tour full day prosegue con una delle cose piú belle dell’isola, Ahu Tongariki: sono ben 15  Moai messi in fila, con il mare alle spalle ed un grande prato davanti. Se un Moai fa impressione, immaginatevi di vederne 15 (anche se solo uno col cappello!),  imponenti ! Da lasciare senza fiato.

Mi porta  poi a mettere le mani sull’ombelico del mondo, una pietra tonda che sembra emani una grande energia (la mia porzione di energia se la deve essere presa qualcun altro, si vede che sono arrivata troppo tardi...), alla spiaggia di Anakena con i suoi bravi Moai di protezione ed infine si torna a casa.

Il giorno dopo, domenica, i festeggiamenti prevedono la santa messa e poi tutta la famiglia (compresi noi tre ospiti) ad Anakena a fare il bagno e a mangiare la grigliata. Peccato che la mattina inizi con la pioggia e continui con dei nuvoloni ben poco promettenti. Niente bagno, la grigliata si fa a casa. Siamo in undici, per fortuna ieri Juan ha pescato parecchi pesci! Il figlio si incarica di procurare maiale e verdure, Eliana condisce il tutto e finalmente, alle tre del pomeriggio, si mangia. Sinceramente, dalla una in poi, io ho cominciato a sospettare di aver capito male, di non essere stata invitata a pranzo: nessuno sembrava occuparsi dei preparativi, nessuno compariva neppure. Isola che vai, orari che trovi.

La giornata si conclude con l’ennesima uscita per andare a pescare, ma questa volta l’esito é ben diverso: saliamo in macchina Juan alla guida (ahimé, con parecchio vino bevuto), Eliana, il nipote Pierre ed io. Dovrebbero seguirci il figlio, la moglie e la coppia di ospiti. Peró non li si vede. Dopo mezz’ora arriviamo fortunosamente nel posto migliore per la pesca e ci accingiamo ad aspettare che la marea salga...intanto ricomincia a piovigginare....e noi in macchina ad aspettare, con Juan che mi racconta come ha conosciuto Eliana, lei che lo contraddice e gli dá del vecchio bacucco (a quel che capisco), il nipote Pierre che dá segni di insofferenza, io che sopporto. Dopo tre quarti d’ora e vent’anni di vita narrata, il nipote ha la geniale idea di dire al nonno che l’orologio della Vitara non funziona (cosa plausibilissima), non sono le sei ma le sei e mezzo passate. E siccome alle sette e mezzo bisogna essere all’aeroporto a prendere don Alberto, é ora di tornare. Juan mi chiede che ora é al mio orologio, io ho un attimo di esitazione, Pierre mi strizza l’occhio, non ne posso piú neanch’io, e con la massima serietá sostengo che sono le sei e trentacinque. Cosí finalmente possiamo tornare a casa .

Il giorno dopo ripartiamo con don Alberto, dopo aver passato un’oretta dal gommista per cambiare una ruota, che durante la notte era andata a terra. Una ruota....voglio dire, una cosa rotonda perfettamente liscia che sta sotto la Vitara. Andiamo ad Orongo e poi ancora un po’ in giro, poi io vengo depositata ad Hanga Roa e i due signori se ne vanno a....pescare!

Hanga Roa é l’unico posto abitato dell’isola, dotato di un’infinitá di ristoranti, boutiques, un paio di negozi di alimentari fatti apposta per scoraggiare gli acquisti ed invogliare ad andare al ristorante, tre cyber-café fatti apposta per spennare noi turisti tecnologici e poco altro. Peró ha un bellissimo “parco archeologico”, cioé un enorme prato che finisce sulla scogliera, con ruderi vari e gli immancabili Moai. Un posto molto simpatico per passarci il pomeriggio, altro che andare a pescare!

L’ultimo giorno dedicato alle escursioni abbiamo visitato la fabbrica di cappelli per Moai, una cava, situata opportunamente in cima ad una collina, di modo che poi si poteva far rotolare il cappello in giú fino alla statua. A volte dovevano percorrere anche 12 chilometri! É proprio vero che ci si ingegna sempre....E poi, dulcis in fundo, la grotta delle due finestre: difficilissimo entrare, si striscia in un pertugio sassoso che ha messo a dura prova piú me che non Juan, ma poi ci sono due aperture sulla scogliera belle larghe, dalle quali si potrebbe entrare molto piú facilmente, fossimo dotati di un paio di ali. E cosa si vede dalle aperture, proprio lí sotto, in primo piano? Ma tre pescatori, naturalmente! Lo sguardo di Juan pieno di invidia mi ha fatto accelerare la fine del tour di mezzo day, mi sono fatta scaricare nel pratone di Hanga Roa dicendogli che sarei tornata a piedi ed augurandogli buona pesca.

Una cosa che merita di essere descritta ancora é la chiesa di Hanga Roa. Ci sono delle statue di legno che riassumono perfettamente i due culti, quello cattolico e quello della tradizione locale. Infatti qui aveva molta importanza l’uomo-uccello. Attraverso una prova che ha dell’ olimpionico (buttarsi giú da una scogliera, nuotare fino ad un isolotto davanti ad Orongo, raccogliere il primo uovo dell’uccello manutara e riportarlo indietro) i rappresentanti delle varie tribú cercavano di ottenere per il loro capo il rango di uomo-uccello. La carica durava un anno, giusto il tempo perché l’uccello manutara tornasse a deporre il primo uovo...Durante questo anno il nominato era un capo sacro, aveva contatti solo con il gran sacerdote e comandava su tutto e su tutti. Di conseguenza, le statue che in chiesa rappresentano santi e madonne, hanno un uccello in testa. Anche sul crocefisso sull’altare, Gesú si ritrova con un uccellaccio sulla testa, che guarda giú. Durante la messa, poi, manco a parlare di starsene buoni buoni in raccoglimento: si canta accompagnati da cinque chitarre, una fisarmonica ed un tamburo, ci si prende per mano in una catena che va da un lato all’altro e si ondeggia a destra e a sinistra, per non parlare dello scambio del segno di pace! Stringere la mano solo ai propri vicini, quando ci sono dei cari amici dall’altra parte della chiesa? Manco parlarne, ci si alza, si va di qua e di lá, ci si abbraccia festosamente, e siccome in una popolazione che non arriva a quattromila anime tutti si conoscono e tutti sono amici di tutti e moltissimi vanno alla messa delle nove di domenica, ecco che il rito dura per quasi un quarto d’ora. Le letture sono in spagnolo ed in rapanui ( a proposito, Rapa Nui vuol dire Grande Rapa, rapa  peró non é l’ortaggio ma un’isola della polinesia), e all’inizio della funzione si fa l’elenco delle persone per le quali si pregherá, nome e cognome ed eventuali malattie dalle quali si implora la guarigione ( ho capito che ce ne sono tre con il cancro, gli altri malanni non li ho riconosciuti), l’elenco mi é sembrato costituito da almeno una cinquantina di nomi, alcuni in rappresentanza della loro famiglia, insomma si prega un po’ per tutti, giustamente. Tra una cosa e l’altra passano piacevolmente un paio di ore....e poi tutti sul sagrato, dove continuano le chiacchiere!

 

Valparaiso

 

Valparaiso é…..boh..... prendete Genova, San Francisco, La Paz, Montmartre, agitate bene il tutto, ma proprio bene, e ne esce qualcosa che assomiglia a Valparaiso. É da stamattina, quando ho cominciato a pensare di scrivere qualcosa su questa cittá, che sto rimuginando su come definirla. E ancora non ho deciso. Intanto posso darvi qualche notizia incontrovertibile: la cittá é formata da una parte piana, lungo il mare, che appunto si chiama Plan, e da qualcosa come 46 cerros (colline) sulle quali si arrampicano case e strade. Il porto é abbastanza frequentato ma non molto. Pare che ci siano circa 270 mila abitanti, potrebbero comunque essere anche di piú, a giudicare dalla marea di case che si vedono.

Ieri ho approfittato del sole ed ho fatto un giro su un barco colectivo, cioé una lancia che per modica spesa porta una trentina di persone in giro nella baia. Mi sono abbronzata aspettando di raggiungere il numero minimo di passeggeri: in sudamerica ho imparato l’arte dell’attesa, il trucco sta nell’essere contenti di aspettare, godendosi l’ozio del momento. Un momento durato quasi un’ora.....Dal mare si vedono benissimo le colline, con le sbrodolate colorate delle case, molto pittoresco visto da lontano. Ogni tanto, come una scriminatura sulla testa di una donna con i codini, una via tutta dritta che si inerpica fino in cima: molto pittoresca vista da lontano. Poi sono andata a camminare fra quelle case: alcune restaurate, molte diroccate, a volte rappezzate con la lamiera. Ed ho percorso quelle strade: altro che camminate in salita, c’é quasi da arrampicarsi! Il fiato se ne va con la velocitá del fulmine. Infatti gli abitanti se ne guardano bene dal percorrerle a piedi in salita: in su si va con l´ascensore (=funicolare) ,ce ne sono un’infinitá, divertentissimi: stamattina ne ho presi sei diversi, solo per il gusto di andare su e giú!) e caso mai a piedi si puó andare in discesa. Facendo attenzione, perché a volte ci sono dei gradini, a volte no.

Il cerro dove sto si chiama Cerro Alegre, ha delle belle case quasi tutte risistemate, molte vie con l’acciottolato e le due strisce in mezzo per le ruote dei carri, un paio di punti di bellavista e tanti ristorantini, oltre agli immancabili atelier artigiani....insomma, quartiere bohémien per turisti. Comunque simpatico e vivibile senza grandi difficoltá. Ci sono invece altri cerros che ho visto nei quali proprio non mi piacerebbe girare sola la sera...Vabbé che non é un problema che mi pongo spesso: le mie sere finiscono molto presto, un po’ per la stanchezza un po’ per la comoditá del letto! Mi hanno invece raccontato che la vita notturna a Valpo (come diciamo noi ormai scafati) é vivacissima. Peccato che cominci verso l’una di notte, prima ci si incontra a casa di uno o dell’altro, e termini non prima delle cinque. Un taxista mi ha raccomandato di non uscire mai da un locale alle tre di notte, é pericolosissimo, perché non c’é in giro nessuno. Invece, alle cinque, nessun problema: le strade sono piene di gente. Adesso sono le nove di sera e mi si stanno quasi chiudendo gli occhi: non mi ci vedo ad aspettare 4 ore per iniziare la serata....

A Valpo c’é una cosa molto bella,  una delle tre case di Neruda in Cile, la Sebastiana. Un’altra casa é vicino a qui, a Isla Negra. La terza é a Santiago. Le ho viste tutte e tre e mi ha affascinato la fantasia pazzoide di quest’uomo, che ha veramente vissuto, lo si sente in ogni stanza, quasi tutte disegnate da lui e riempite con l’accozzaglia di oggetti raccolti in giro per il mondo, tra demolitori e vendite all’asta, bancarelle di mercati e doni all’ambasciatore . Unite la fantasia, la follia e il collezionismo: ne viene fuori un’esplosione di idee. Che girano e girano e girano nella testa, come il cavallino della giostra, che ha comprato a Parigi e si é messo in salotto qui, alla Sebastiana. In fondo, la mia mamma non é che faccia qualcosa di diverso, a pensarci bene.

Il giorno dopo.

Domenica 26 ottobre a Valpo, come in tutto il Cile, si vota per l’elezione del sindaco e della giunta comunale. Questo significa che é tutto rigorosamente chiuso: musei, negozi, ristoranti, perfino alcuni ascensori! La chiusura degli ascensori mi ha fatto proprio sentire abbandonata, perché contavo su quello Barone: mi sono fatta a piedi quasi tutto il Plan e poi mi é toccata anche la scalita, ditemi un po’ se non é uno scherzo di cattivo gusto...e tutto per andare a vedere  una chiesa che era anche brutta, uffa. Per rifarmi la bocca ( e far riposare le gambe ) sono andata a Viña del Mar con la metropolitana, una bella e pulita metropolitana che viaggia in superficie lungo il mare per una decina di chilometri. Bello, il viaggio. Molto meno bella Viña del Mar, un parco e due o tre palazzi decenti, per il resto casermoni da villeggiatura stile Fantozzi. Chissá perché ai cileni piace tanto, probabilmente per le lunghe spiagge. Che ora sono desolatamente vuote (fa caldo, al sole, ma é pur sempre soltanto primavera, si arriva al massimo a 20 gradi). Inizio la ricerca di un ristorante aperto, difficilissimo: é giorno di elezioni. Mi rassegno ad un churrasco italiano (= paninozzo con due fettine di carne, pomodoro, maionese ed avocado spiaccicato) e pregusto una buona birra gelata, che rimane un pio desiderio, niente alcool, é giorno di elezioni! Me ne torno a Valpo maledicendo la democrazia. E la sera mi strafogo di dolci, perché l’unico negozio che trovo aperto é una pasticceria: il futuro sindaco di Valparaiso avrá sulla coscienza, oltre a probabili episodi di corruzione (mi dicono che qui vada per la maggiore) anche un paio di chili di una turista italiana che voleva soltanto un’insalata!