Quito

Ed eccomi a Quito, davanti ad un camino acceso bevendo Pilsener, cerveza equatorianamente refrescante! Arrivata stamattina, tanto per cambiare sotto un cielo nuvoloso (qui per vedere il sole l'unica è volare sopra le nuvole), sto in un bed & breakfast gestito da un tipo notevole, che si chiama Reno . In poco più di un'ora abbiamo pianificato le mie tre settimane e passa in Ecuador, telefonato per prenotare gli alberghi, meglio di un'agenzuia di viaggi.

Poi sono uscita per andare nella città vecchia e.....mi sono ritrovata veramente in SUD AMERICA. Le facce sono quelle che avevo in mente delle popolazioni andine, così come gli abiti. I sarti di strada e i negozi di articoli casalinghi sono uno spettacolo. Le famiglie devono essere numerose, perchè vendono pentole di dimensioni ciclopiche. Ho fatto pochissime foto, sono stata presa da una forma di rispetto per la loro vita, mi sarei sentita come una guardona mentre volevo confondermi il più possibile con il mondo variopinto che mi girava intorno. Ho passeggiato per un paio d'ore, senza neppure aprire la guida, a caso, seguendo il flusso della folla, dopo un almuerzo ( pranzo fisso a prezzo fisso, che significa: minestra, fettina di carne con riso e fagioli, succo di frutta, un dollaro e mezzo). Già, non ho aperto la guida ma ho aperto l'ombrello! Cosa sarebbe un giorno ai tropici, meglio, ormai:all'equatore, senza la quotidiana spruzzata di pioggia?

Altra cosa meravigliosa di Quito: pochissimi turisti (forse non è più alta stagione...)

La colf di Reno , che si chiama Carmen, mi ha appena portato un thermos pieno di mate de coca: ma cosa si può volere di più?

Qualcosa sì, si può volere di più: il sole, che compare incredibilmente la mattina dopo!!!

Ne approfitto e mi lancio nell'ascensione al mio primo vulcano: il Volcan Pichincha. Ci salgo con il teleferiQo, una novità per Quito. In pratica è un'ovovia che porta dai 2900 metri della città ai 4100 della Cruz Loma. Ci si sente strani, arrivati in cima, anche perchè si è contornati da cartelli che avvisano di andare adagio, non correre, segnalano dov'è il posto di pronto soccorso....insomma, quasi un terrorismo psicologico! A parte gli scherzi, mi sono sentita veramente un po' fuori fase nei primi minuti, ma poi è passato. Certo, si cammina adagio, ma non si potrebbe fare altrimenti: è un tale spettacolo quello che si ha intorno, che non si può non fermarsi a guardare. La città di Quito ai piedi, coni vulcanici qua e là, prati verdi e l'immancabile sottofondo musicale sparato ad altissimo volume dagli altoparlanti.

Il sole è scomparso, ma anche con le nuvole che incappucciano i coni il paesaggio ha un che di affascinante.

Dopo un'oretta, il vento gelido che si è messo a soffiare mi ha convinto a scendere, pur con malinconia. Penso però che di paesaggi di questo tipo ne incontrerò molti, durante il viaggio.

Ed ecco la classica turistata: visita alla Mitad del Mundo. Questa ve la devo proprio raccontare perchè ha dello spassoso. Dunque, si arriva in una specie di spianata dove hanno costruito un monumento abbastanza orrido (potete vedere le foto) al termine di una sfilata di busti di coloro che hanno fatto parte delle spedizione di La Condamine, che in 6 anni ha stabilito dove passava l'equatore (nel 1700 e qualcosa). Striscia rossa per terra per evidenziare il parallelo e tutto un ambaradan di villaggetto turistico attorno. Ebbene, l'equatore NON PASSA DI LI'. Sta 240 metri più a sud. Tanto di cappello per gli studiosi che nel 1700, con gli strumenti dell'epoca, ci sono andati così vicino, ma per una matematica è un errore bello e buono. Naturalmente, sono andata a vedere dove passa davvero e mi sono divertita un mondo con esperimenti di acqua che fa e non fa mulinelli, uova che stanno in equilibrio sulla testa di un chiodo, io che (perfettamente sobria) non sto in equilibrio, ad occhi chiusi, sulla linea dell'equatore. Una matematica un po' bambina....

 

Otavalo

Ad Otavalo ci si va perchè c'è la fiesta (le prime due settimane di settembre) , perchè c'è un interessante mercato del bestiame (alle 5 della mattina) ed un mercato di prodotti artigianali (per fortuna tutto il giorno). Ecco perchè sono andata ad Otavalo. Ci sono andata da lunedì primo settembre a mercoledì 3, per scoprire che: la fiesta comincia venerdì 5 settembre, il mercato del bestiame è solo il sabato ed il mercato artigianale è solo un po' più grande delle bancarelle peruviane che troviamo in viale Papiniano o lungo i Navigli. Sì, però.....ad Otavalo c'è un albergo da incanto, l'hacienda Pinsaquì. Costruita ne 1790, sempre di proprietà della stessa famiglia, tenuta splendidamente ancora adesso. E io ci sono andata, per un paio di notti. Roba che la sera ti portano la borsa dell'acqua calda e ti accendono la tua personale stufa a legna in camera. Roba che quando arrivi ti accoglie una fantesca in costume locale, ti apre la camera con una chiavona da stanza di castello, e ti saluta. Tu vai alla reception (=stanza tipo studiolo) per consegnare il documento e ti dicono che non serve: esta es su casa! E se ne avete voglia, trovate una sequela di foto nell'altra sezione.

Da Otavalo si può andare in un posto interessante: la laguna di Cuicocha, che è un lago in un cratere sprofondato, con dentro un paio di isolette coniche. Un posto che con il sole deve essere una meraviglia, sotto le solite nuvole che mi accompagnano è un po' inquietante. Decido di fare un pezzo del cammino che percorre la cresta del cratere ( solo un pezzo: ci vogliono più di 4 ore per farlo tutto, con più di 400 metri di dislivello, che a questa altitudine vi assicuro che sono tanti!) e mi si accoda una cagnona nera che non mi molla più. Abbiamo fatto la passeggiata insieme, ho inaugurato l'autoscatto e sono rientrata tutta contenta dopo 3 ore di andata e ritorno. Ho capito che in questi posti bisogna adottare la strategia del bradipo: fare tutto molto lentamente, con calma: dal camminare all'aspettare la corriera o l'almuerzo.

La Selva

In Ecuador la Selva è l'Oriente, cioè quel pezzo (notevole) di Amazzonia nord-occidentale...Con i punti cardinali sto facendo un gran casino, è incredibile come l'andare su e giù per gli emisferi ti faccia perdere la bussola!

Comunque, alla Selva ci sono arrivata. Per miracolo. Ho preso la corriera a Quito, con la prospettiva di arrivare a Tena in 6 ore, scavalcando la catena orientale dei vulcani andini. Sei ore? Macché: l'autista ha preso una multa a Quito, appene partiti, perchè ha bloccato il traffico nell'ora di punta ( che tanto era già bloccato) alla ricerca di altri passeggeri (eravamo solo in tre a bordo), così si è arrabbiato. In pratica: non ha cercato più nessuno, abbiamo attraversato le Ande in una corriera che sembrava una Ferrari quando non si scassa, abbiamo sorpassato camion, pick-up, corriere, automobili, tutto ciò che malauguratamente si trovava sulla nostra strada. Nessuna fermata fino ad una decina di chilometri da Tena, quando si è degnato di raccogliere qualche altro passeggero. Forse non avrebbe fatto una gran figura arrivando a Tena con tre sole persone a bordo. Quattro ore e mezzo invece delle sei previste. Che vuoi di più, per soli sei dollari?

Arrivata a Tena ho cambiato corriera, per fortuna, e alle due e mezzo del pomeriggio sono partita con una miriade di studenti che tornavano a casa, alla volta di Puerto Rio Barrantilla. Che non è affatto un porto, è una delle centinaia di fermate che la corriera fa per scaricare ciascuno davanti a casa sua. 45 chilometri, due ore. E' detto tutto. A puerto Barrantilla, sacca in spalla e via verso il Rio, che c'è davvero, e si chiama Arajuno (affluente del Rio Napo, che poi va nel Rio delle Amazzoni, so tutto, potrei anche raccontarvi perchè si chiama Rio delle Amazzoni..). Mi viene a prendere una canoa, che carica me ed un centinaio di bottigliette di bibite varie, e ci deposita al Liana Lodge. Io ero stata in un Lodge amazzonico, in Brasile, con Avventure nel Mondo, e mi aspettavo qualcosa di simile:struttura in muratura, elettricità, aria condizionata, guide poliglotte....pensate il contrario di tutto ciò ed eccovi il Liana Lodge. In un primo momento sono rimasta un po' sconcertata, ma poi ho ampiamente apprezzato. Dunque, tutto in legno e paglia, un paio di pannelli solari per fornire elettricità alla cucina ed alla reception, nulla più, una decina di capanne con due camere ciascuna, ognuna con bagno, e candele, e dehor con amaca e tavolino. Sul fiume. Insetti a volontà. Stivaloni a volontà, dal 35 al 47, indispensabili per le passeggiate nella giungla. Guide indigene che parlano molto bene il quichua, bene lo spagnolo e maluccio l'inglese. Il lodge serve per finanziare un progetto che si chiama Selva Verde e che cerca di reintrodurre nel loro ambiente naturale gli animali che sono stati presi dai bracconieri o che sono stati tenuti in cattività. Cerca anche di creare un modo di fare turismo che sia rispettabile e rispettoso. Tutto il personale è indigeno, tranne la moglie del proprietario che è....svizzera!

Sono stata in giro per la Selva per tre giorni, assieme ad una coppia di tedeschi, accompagnati dalla nostra personale guida Lucia. Per lo spasso di Michel: io traducevo dalla spagnolo all'inglese per i tedeschi!

La foresta amazzonica è indescrivibile, bisogna esserci dentro. Si suda in modo abnorme, esattamente come suda la foresta: un caldo afoso, la fatica di arrampicarsi per le salite, che ci sono, eccome, altro che tutto piatto!, ci si impantana nel fango, che arriva a metà stivale, si attraversano fiumiciattoli e ci si infila sotto cascatelle, ma soprattutto ci si ferma e si guarda in alto. Perchè le piante che cercano la luce danno il meglio di sè molto più in alto del nostro naso. Abbiamo incontrato un cebo di 200 anni e 70 metri di altezza, però anche tante piante officinali, che quasi calpestavamo. E una miriade di uccelli e insetti. E io a pensare: se qui ci fosse Marina, chissà come impazzirebbe!

Fra le varie specie che ci ha indicato Lucia c'è anche il frutto che serve per farsi i tatuaggi sulla pelle e l'erba usata dagli sciamani per scacciare gli spiriti del male. E le formiche delle foglie, che portano nel loro formicaio pezzetti di foglia e li lasciano marcire per poi mangiarseli. E poi abbiamo tirato con la cerbottana, e nonostante io abbia smesso di fumare vent'anni fa, sono arrivata a malapena alla base del bersaglio....

Non ho fatto molte foto della selva, o meglio: le ho fatte ma poi le ho scartate quasi tutte, perchè non rendono neanche lontanamente l'idea di quello che ho visto.

 

IL TRENO

Che giornata! Inizia alle cinque e mezzo, quando fuori è ancora buio e freddo: ma ci si deve alzare, se si vuole conquistare un posto.....sul tetto del treno! Sono a Riobamba, negli altipiani centrali. Ieri sera ho comprato il biglietto del treno per la Nariz del Diablo, 120 chilometri di ferrovia (ferrovia????) fino al volcan Chimborazo. Questo treno è composto da tre carrozze merci, sulle quali i viaggiatori possono stare solo sul tetto, una carrozza passeggeri occupata da chi soffre di vertigini o arriva tardi, una specie di piattaforma e la locomotiva. Naturalmente lo scopo del viaggio è stare sul tetto, non certo arrivare ad Alausì, il capolinea, dove si arriverebbe molto prima in autobus. E non pensate che sia un tetto attrezzato con seggiolini vari: macché, l'unica concessione alla folla di turisti che ci si accalca è una ringhierina, due sbarre di ferro alla distanza di una ventina di centimetri l'una dall'altra. Ed un cuscino di plastica che puoi noleggiare al prezzo di un dollaro.Per il resto, tetto spiovente, striscia di ferro in mezzo, pioli di ferro ad un'altezza da gambe di ferroviere bislungo sulla parete del vagone per salire, proprio come si vede nei film western. Una quarantina di persone ogni vagone, metà che guarda da una parte e metà che guarda dall'altra parte. Sono le sei ed io sono ben installata sul lato destro ( la portiera dell'albergo Tren Dorado, dove avevo la camera Piscis (sigh), mi aveva raccomandato il lato destro), tra una decina di tedeschi (onnipresenti, in Ecuador) a destra e due ragazzi spagnoli a sinistra. Nuvoloni in cielo. Tutti a fare gli scongiuri perchè non si metta a piovere. Abbigliamento da montagna fredda: calze di lana, scarponcini, pantaloni di cotone ma pesanti, maglietta, due golf, giacca a vento con cappuccio. Ed ero una delle meno bardate, ma tanto io non soffro il freddo...Tiro fuori la macchina fotografica per l'addio a Riobamba, e l'addio me lo dà lei: tra l'Amazzonia e gli ultimi piovosissimi giorni (di cui vi risparmio il racconto), si è bagnata fin nel midollo e smette di funzionare. Ragion per cui di questo stupendo viaggio non vedrete nessuna foto, mi dispiace. Ore sette: partiamo.La piattaforma è piena di pali di legno, che ci fermiamo a consegnare a domicilio a tre segherie, praticamente più di mezz'ora per uscire da Riobamba. Sempre più nuvole, freddino alquanto. Passiamo attraverso vallette verdissime, con ruscelli, pascoli, contadini qua e là, mucche e pecore, bambini che salutano. Uno spettacolo stupendo. Alle 10 e un quarto ci fermiamo a Guamote, a 3.056 metri. Mi sbrigo a soddisfare alcune primarie necessità: visita ai sanitarios ed acquisto di cappello, sciarpa e guanti di alpaca. Perchè anche i più duri dopo un po' hanno freddo. Ripartiamo, i due spagnoli sono passati alla carrozza chiusa e al loro posto salgono due simpatiche ragazze olandesi, con le quali commentiamo, in inglese, il meteo...pensa un po'. Comunque ancora non piove e a tratti compare anche il sole. Il paesaggio è quello che proprio si definisce mozzafiato: le pendici dei vulcani sono verdissime, a volte coltivate, spesso a pascolo. Boschetti, macchie coloratissime dove le donne hanno lasciato i loro fantasmagorici scialli, per zappare la terra nei caldi abiti più scuri che portano sotto. Le montagne non presentano rocce, ma sono di forma arrotondata, dei gran mammelloni di diverse tonalità di verde, le piante che sono spesso rimaste solo a delimitare i pascoli e che sembrano disegnate con una matita dalla punta lunga e finissima, come faceva Ponina. A volte, invece, dei boschi di alberi simili ai pini, anche loro ben delimitati, come dei fazzoletti stesi. Ci perdiamo a guardarci intorno, a volte non sappiamo neppure dove voltare la testa, se sia più bello dalla nostra parte, o dall'altra, di sotto o di sopra! E vi assicuro che viaggiare sul tetto di un treno offre una prospettiva del tutto particolare.

Poi cominciano i problemi...ci fermiamo in una valletta, vento gelido, la locomotiva ha deragliato. Come si rimedia? All'ecuadoriana: si scava sotto la ruota finita fuori dai binari, da uno dei vagoni merci si tira fuori un pezzo di binario portatile, lo si mette sotto la ruota, e si riparte, per fermarsi poco dopo a recuperare il pezzo di binario. Intanto abbiamo imparato il linguaggio della locomotiva: due o tre fischi brevi: manovra in corso, state seduti o rischiate di farvi male; due o tre fischi lunghi: si riparte, chi è sceso si sbrighi a risalire. Dopo mezz'ora, altra sosta: questa volta si è rotto un pezzo di binario. Solita operazione con il binario posticcio, ma stavolta occorre più tempo. Però...il vento è cessato ed è uscito il sole! Via la giacca, via i golf, è tutto uno spogliarsi. L'amica olandese mi passa un po' di crema, impietosita dal mio naso ormai paonazzo (la mia crema solare sta viaggiando tranquilla tranquilla nella sacca nel vagone merci, l'avevo comprata per l'Amazzonia, dove invece pioveva).Stiamo fermi per 40 minuti. Il tetto sta diventando un gran casino: alla partenza eravamo tutti belli in fila, ordinati, seduti composti (più che altro rattrappiti), ora chi si distende, chi si sporge, chi scende, chi passeggia lungo il corridoio centrale il quale invece viene usato come poggiatesta da altri, che quindi vengono scavalcati alla bell'e meglio, per non parlare dei due vendidores, quello di patate e banane e quello di dolcetti e bibite che ci perseguitano con i loro strilli. Ormai, siamo tutti un coro: bananita, papita, aguita! Finalmente si riparte, non sto qui a raccontarvi degli ulteriori deragliamenti.

Passata Alausì, si arriva alla Nariz del Diablo, che è una parte del vulcano che dovrebbe assomigliare al naso del diavolo. Inutile dire che io non ho visto proprio nessuna somiglianza con un naso, ma forse non ho capito cosa dovevo guardare. La cosa divertente è che, siccome il pendio è molto ripido ed il treno non può curvare, si va a zig zag: il treno prosegue in un binario morto e poi torna indietro, e così via. Se sei sul lato destro (maledetta la portiera del Tren Dorado) puoi divertirti a rischiare una decina di infarti: lo strapiombo sotto il treno è di centinaia di metri, la ferrovia è minuscola, e naturalmente anche lì abbiamo deragliato...ed ha deragliato il nostro vagone! Sinceramente, momenti di puro panico, perchè quando abbiamo percorso il binario posticcio il vagone si è inclinato verso il precipizio. Però non hanno fatto scendere nessuno e tutti sembravano divertiti....incoscienti oppure in preda ad una reazione nervosa, vai a capire. Io, per un momento, ho pensato: fermi tutti, voglio scendere! Poi mi sono rassegnata ad aver fiducia nei macchinisti, e mi è andata bene. Torniamo alla stazione di Alausì, e guardo l'orologio: sono le cinque e mezzo, abbiamo impiegato dieci ore e mezzo per fare centoventi chilometri. Mica male.

Ma la giornata non è finita: il mio programma prevede, da Alausì, di prendere il bus per El Tambo, da lì la camioneta per Ingapirca, dove ho prenotato uno stupendo albergo. Siamo così in ritardo che il bus per Cuenca è già partito, ma siccome oltre che in ritardo siamo anche un branco di turisti da spennare, ci trovano un'altra corriera nel giro di mezz'ora. Biglietto unico 5 dollari, sia che tu vada a Cuenca sia che tu vada a El Tambo, più o meno a metà strada. Per darvi un'idea, il giorno dopo ho pagato il tragitto El Tambo-Cuenca la pazzesca cifra di 75 centesimi! Non importa, basta partire. E lì, un altro spettacolo. Sono ormai le sei, il tramonto: cielo rosso e, sotto di noi, nella vallata, uno spesso strato di nuvole batuffolose, pura ovatta, bianchissime, avete in mente quando si è in aereo? E la montagna accanto, santo cielo, da non credere! Fiato mozzato anche qui.

Arrivo ad Ingapirca, gli ultimi otto chilometri in taxi perchè figuriamoci se alle nove passate di sera le camionete fanno ancora servizio. Entro in camera alle nove e mezzo e....trovo nientemeno che una vasca da bagno ed un piccolo calorifero elettrico! Lavaggio completo, io e la biancheria, biancheria che finalmente avrò asciutta il giorno dopo (è la prima volta che mi succede) e finalmente alle dieci a letto. Che giornata!

 

GALAPAGOS

Alle Galapagos ci si deve andare. Punto. Potrebbe finire qui il mio racconto, perchè credo che sia difficilissimo trasmettere delle sensazioni così particolari come quelle che si possono provare in questo arcipelago. Comunque io vi dirò che.....

alle Galapagos ci sono arrivata un lunedì mattina, con tanto di voucher per 5 giorni di crociera sulla motonave "Fragata" (vietato qualsiasi tipo di commento, anche perchè qui le fragate sono degli uccellacci). Invece mi ritrovo imbarcata sulla motonave "Golondrina" (che è il nome di un simpatico passerotto), così viene dribblata la fregatura...

Con me altri 13 passeggeri, quasi tutti olandesi. Con uno di nome Victor mi tocca dividere la cabina, un biondiccio quarantenne che è venuto in Ecuador solo per fare una settimana alle Galapagos e si presenta con un bagaglio tre volte il mio. Gli cedo la cuccetta sotto, almeno ci può accatastare i vari ammenicoli, chissà come farà a dormire. Siamo a Puerto Ayora, sbarchiamo per visitare il centro Darwin, e sulla strada, accanto al marciapiede, faccio il mio primo incontro con una sula piedi blu, un paio di pellicani ed un'otaria mollemente sdraiata su una panchina a prendere il sole....ecco, questo è quello che può capitare sul lungomare di un paesino. Per non parlare dei granchi multicolori sugli scogli poco sotto. Sopra la nostra barca volteggiano le fregate, uccellacci neri alquanto lugubri. Non possono tuffarsi per pescare, non hanno le piume abbastanza impermeabili, quindi "fregano" le prede agli uccelli più piccoli. Ce ne sono in quantità, anche se non tante quanti i pellicani (qualcuno li ha soprannominati i piccioni delle Galapagos).

Il parco nazionale copre praticamente tutto l'arcipelago, solo il 3% è abitato, e ci sono norme severissime. Pochi i posti nei quali possono andare i turisti, che devono restare sui sentieri tracciati, non portare nulla da mangiare sulle isole, non portare via nulla: addirittura ti fanno lavare bene i piedi in mare prima di tornare in barca, neppure la sabbia può andare da un'isola all'altra (ma io sospetto che soprattutto siano gli equipaggi delle motonavi che abbiano introdotto questa norma...). I luoghi dove possono andare i turisti vengono aperti a rotazione, in modo da non sovraccaricare nessun itinerario. Non si può girare da soli, ma soltanto con una guida ufficiale ed in piccoli gruppi, con orari di sbarco ben definiti. Ed altre norme che non sto ad elencare. Beh, devo dire che sono regolamenti giustissimi. Possono sembrare tirannici, ma in questo modo si riesce a passeggiare in un mondo che ha del primordiale, in mezzo ad una fauna e ad una flora inimmaginabile. I primi momenti, avevo l'impressione di essere in un enorme zoo senza gabbie: infatti potevo avvicinare tantissimo gli animali, che tranquillamente se ne stavano accanto al sentiero, o lo attraversavano, o addirittura ci facevano il nido! Senza nessuna paura dell'uomo, in apparenza neppure molto infastiditi. Quasi incuriositi, ancora più di noi. Naturalmente, vietatissimo toccarli! Pensate che le mamme otarie riconoscono il figlio dall'odore: se si accarezza un cucciolo di otaria, gli si lascia impresso un odore diverso (crema solare, mano sudata...) e la madre non lo riconosce più, lo abbandona. Su una spiaggia abbiamo visto il cadaverino di un'otaria, tristissimo.

Ho fatto snorkelling con tanto di muta (l'acqua era a 18 gradi ) e mi sono ritrovata in un branco di almeno un centinaio di pesci coda gialla. Poi ho visto tre razze sul fondo sabbioso e, poco più in là, una decina di tartarughe che mangiavano tranquillamente le alghe sul fondo. Ogni isola ha la sua specie di tartaruga, ovvero questo succedeva per le 13 isole maggiori. Poi in due di esse le tartarughe si sono estinte (modo soft per dire che i pirati e i primi coloni se le sono mangiate tutte) e di un'altra è rimasto solo Lonesome George, unico esemplare: lo hanno portato al centro Darwin e gli hanno messo accanto due tartarughe femmine, anche se di un'altra specie. Sperando che si piacciano...

La flora cambia moltissimo da isola ad isola, ma ha come denominatore comune il palo santo, un albero che fiorisce a dicembre, mentre per il resto dell'anno evita di fare foglie per risparmiare acqua. C'è poi una fascia umida bassa ed una fascia umida alta, con un sacco di piante e, ahimé, un sacco ovviamente di umidità (questo nelle isole con vulcani di una certa altezza). Già, perchè nonostante sia la stagione secca, mi sono beccata la pioggia anche qui! La chiamano garua, è finissima, non c'è modo di difendersi: bagnata fino al midollo un'altra volta! In alcune isole crescono dei fichi d'india con il tronco, come alberi: una tesi dice che è perchè cercano il sole, un'altra dice che è per difendersi dalle tartarughe.

Le spiagge sono disseminate di otarie, femmine e cuccioli che se ne stanno comodamente a prendere il sole. Il maschio pattuglia il mare davanti alla spiaggia, per cacciare altri pretendenti. Per fortuna non vede negli uomini nessun pericolo, così si sbarca tranquillamente con questo bestione che può pesare fino a 250 chili che fa la ronda accanto alla barca.

Alle Galapagos esiste anche un Post Office: si tratta di un barile in cui si può mettere la corrispondenza da spedire, non affrancata. Tutti quelli che vanno per spedire guardano la posta nel barile, se trovano qualcosa indirizzato vicino a dove abitano, lo prendono e quando tornano a casa lo spediscono (questa volta con il francobollo!) Io ho preso una cartolina da mandare a Padova. Ne ho lasciate tre, vedremo se arriveranno.

Ho camminato per chilometri, sempre sul bagnasciuga, dove poi le tracce sarebbero state cancellate dall'alta marea, zigzagando fra le otarie, le iguane marine, i passeri. Ho camminato per chilometri fra le rocce, accanto a sule dai piedi blu, sule mascherate, albatros, poiane delle Galapagos, fenicotteri, iguane terrestri, tartarughe giganti, fringuelli di Darwin. Ho fatto il bagno assieme a tartarughe marine, razze, pesci coda gialla, otarie giocherellone. Non so come descrivervi quello che ho provato in questo posto primordiale. Ripeto, alle Galapagos bisogna andarci.